Luci nelle tenebre: gli orionini in soccorso degli ebrei durante la II guerra mondiale

Il Parlamento italiano, con la legge 211 del 20 luglio 2000, istituì il ‘Giorno della Memoria’, con il duplice fine “di ricordare le vittime della Shoah nonché coloro che, in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.  Anche la Congregazione di don Orione, a Tortona, e in quasi ogni sua casa in Italia, accolse e aiutò ebrei, profittando delle possibilità per nasconderli e anche di inserire donne, uomini e bambini nelle diverse sue opere e attività.

Arrigo Minerbi

Furono coinvolte attivamente anche le Piccole Suore Missionarie della Carità. Principali centri di smistamento furono Genova, Milano, Torino con don Pollarolo e Roma. Fu una risposta al pressante invito di Pio XII: «Salvate gli ebrei, anche a costo di sacrifici e pericoli». A Pontecurone, ogni anno si dedica una pianta nel Giardino dei Giusti a quegli orionini che si distinsero nel salvare ebrei ed altre persone durante la seconda guerra mondiale.  Don Orione non visse al tempo più buio della Shoah, ma quando venne a sapere che nel seminario di Zdunska Wola, nella Polonia invasa, una bomba era caduta sulla chiesa, scrisse: «Non sappiamo niente dei nostri sacerdoti, chierici, suore… Pregare, pregare, pregare! Si sa che là ci sono parecchi milioni di ebrei. Preghiamo anche per gli ebrei: tutti siamo fratelli!».  Fratelli, siamo “fratelli tutti”: questa è la ragione dell’impegno nel difendere la vita di chiunque sia in pericolo. Il venerabile don Carlo Sterpi, primo successore di don Orione e all’epoca superiore generale, definì le leggi razziali “un oltraggio legalizzato alla civiltà” e promosse una rete di protezione per accogliere persone in pericolo, senza guardare a partito, nazione e religione. Egli stesso raggiunse a Rapallo, con una malandata Lancia Augusta, il famoso scultore ebreo Arrigo Minerbi per avvertirlo dell’imminente arresto e l’ospitò nella sua casa natale, a Gavazzana. Individuata anche lì la sua presenza, Arrigo Minerbi fu fatto arrivare al Paterno di Tortona e, durante una notte, fu trasformato in Arrigo Della Porta, con nuovi documenti e sacrificando la sua troppo conosciuta barba fluente. Infine, sempre con la regia di don Sterpi, lo scultore fu accompagnato all’Istituto San Filippo di Roma. Qui trovò rifugio fino al termine della guerra. A Tortona, gli ebrei erano pochissimi. Pino Decarlini ha individuato solo le famiglie dell’odontoiatra Nicola Lukacs, ungherese, e di Emilio Jesi, commerciante di caffè.

Il Giardino dei Giusti a Pontecurone

Al santuario di Monte Spineto di Stazzano fu clandestinamente ospitato il chirurgo Filzi. Nei collegi Dante di Tortona e San Giorgio di Novi Ligure si videro arrivare e partire “insegnanti soprannumerari” inseriti nelle attività. Don Sparpaglione ricordava che nell’istituto delle suore orionine, a San Sebastiano Curone, c’era “un anziano ebreo intelligentissimo, piccolo piccolo, dall’aspetto grassoccio, che rimase nascosto nella sua stanza la bellezza di circa due anni, senza che nessuno ne sapesse l’esistenza. Si chiamava Arturo Sacerdote ed era un protetto di don Pollarolo. Quando, a liberazione avvenuta, volle concedersi la prima passeggiata per le strade del paese tutti lo guardavano come un esemplare rarissimo, e solo allora venne in chiaro la sua realtà”.  Particolarmente intensa fu l’opera di aiuto offerta ad Alessandria, presso la chiesa di San Rocco, da don Giovanni Battista Lucarini. Anche a lui è dedicato un albero dei Giusti a Pontecurone. Ospitò due ebrei, madre e figlio, fuggiti dalla Francia e affidatigli dal card. Fossati di Torino. Li vestì una da suora e l’altro da prete e lo aiutavano nel servire la messa. In data 15 gennaio 1945, scrisse a mons. Vincenzo Barale, braccio operativo dell’Arcivescovo di Torino: “La informo che i due ebrei, non avendo potuto trovare altrove sistemazione, li ho sempre tenuti con me; essendo due ottime persone, mi dispiaceva metterli fuori dell’istituto senza averli prima sistemati, in qualche modo. Ora però, sono riusciti a preparare tutti i documenti e nella settimana prossima partiranno per la Francia”. Passato il pericolo, i due rifugiati comparvero nei loro abiti civili con meraviglia dei parrocchiani che fecero una gran festa per salutarli. Don Lucarini nascose anche molti antifascisti ricercati, bianchi o rossi che fossero, e addirittura un parente di Togliatti. Con grande rischio riuscì a portare fuori città il dottor Marziani, dirigente del Cln, travestendolo da prete. La protezione si estese poi anche a esponenti del fascismo e anche a soldati sbandati dell’esercito tedesco, contro i quali si scatenarono vendette omicide. Don Lucarini fu scoperto e messo al muro per l’uccisione; provvidenzialmente fu liberato da un “capo” partigiano da lui precedentemente salvato. Conobbi bene questo confratello che, il 23 febbraio 1948, salpò da Genova per le missioni del Sud America ove rimase fino alla morte, nel 2004. Lo incontrai più volte e mi confidò che prese la decisione di partire missionario anche come reazione al clima di paura e di desolazione rimastogli nell’anima dopo tutta quella eroica opera di soccorso. Voleva voltare pagina e fare del bene. E ne fece di bene! Fu l’apostolo dei Piccoli Cottolengo in Cile. A distanza di tanti anni, la memoria di quegli eventi terribili e delle splendide pagine di solidarietà vissute possono ancora educare atteggiamenti e valori indispensabili per un futuro di fraternità e di pace.

Don Flavio Peloso