I 5 referendum abrogativi

Si vota domenica 8 e lunedì 9 giugno

Come noto domenica 8, dalle 7 alle 23, e lunedì 9, dalle 7 fino alle 15, si vota in tutta Italia per i 5 referendum proposti dalla CGIL che mirano all’abrogazione di alcune norme in tema di lavoro e alla modifica della legge sull’acquisizione della cittadinanza italiana per residenti stranieri. Come al solito occorre presentarsi al proprio seggio muniti di tessera elettorale (se non vi sono più spazi o è stata smarrita ci si può recare per tutti e due i giorni in comune per il rinnovo) e un documento di identità. Per la validità del referendum occorre raggiungere il quorum del 50%+1 degli aventi diritto. In città gli aventi diritto al voto sono 19.183 (9.142 maschi e 10.041 femmine). Di seguito il colore della varie schede, i quesiti proposti e una breve spiegazione delle conseguenze della vittoria del sì o del no.

Referendum 1, scheda verde: «Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?». Il primo quesito riguarda l’abolizione del contratto di lavoro a tutele crescenti del Jobs Act che impedisce al lavoratore dipendente a tempo indeterminato di un’impresa con più di 15 lavoratori licenziato illegittimamente di essere reintegrato al proprio posto (solo se assunti dopo il 7 marzo 2015, per chi è entrato in azienda prima di quella data, è rimasto valido l’articolo 18). Se vince il sì la legge viene abrogata e si torna per tutti al regime stabilito dall’articolo 18; se vince il no resta la distinzione tra assunti prime e dopo il 7 marzo 2015.

Referendum 2, scheda arancione: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Nor-me sui licenziamenti individuali” come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole, “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro?». Il secondo quesito riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese: chi oggi lavora in una piccola impresa e viene licenziato in modo ingiustificato può ottenere un indennizzo fino a un massimo di 6 mesi di stipendio. Se vince il sì chi ha perso il lavoro in un’azienda con meno di 16 dipendenti, potrebbe ottenere un risarcimento più consistente di quello attuale; se vince il no resta immutata la disciplina attuale.

Referendum 3, scheda grigia: «Volete voi che sia abrogato il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, avente ad oggetto “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b-bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; Articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente?». Con il terzo quesito si chiede di abrogare le norme che hanno reso più facile ricorrere ad assunzioni a tempo determinato, ora possibili per i primi 12 mesi senza doverne giustificare il motivo. Le cosiddette causali, come per esempio un aumento di produzione, sono obbligatorie solo se si va oltre un anno. Se vince il sì l’impresa dovrebbe mettere nero su bianco la ragione per cui assume a tempo determinato, anche per un periodo molto breve; se vince il no resta la normativa attuale: le aziende potranno continuare ad assumere con contratti a termine fino a 12 mesi, senza obbligo di motivazione.

Referendum 4, scheda rosa: «Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici?». Il quarto quesito riguarda la sicurezza sul lavoro. Si chiede l’abrogazione della norma che non permette al lavoratore in subappalto che ha un incidente di chiedere il risarcimento anche all’impresa che ha commissionato l’opera. È quindi esclusa la responsabilità in solido, cioè la possibilità per il danneggiato di essere pagato in alternativa da chi l’ha assunto o da chi ha incaricato la ditta per la quale è impiegato. Se vince il sì in caso di infortuni e incidenti subiti da un lavoratore dipendente dall’appaltatore, la responsabilità sarà sempre solidale, se vince il no si mantiene l’attuale assetto per cui il committente non risponderà in via solidale, con l’appaltatore o con il subappaltatore, nel caso in cui si verificassero degli infortuni al lavoratore.

Referendum 5, scheda gialla: «Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante “Nuove norme sulla cittadinanza?». L’ultimo quesito, infine, propone di dimezzare da 10 a 5 anni il tempo di residenza legale nel nostro Paese per la richiesta della cittadinanza italiana da parte degli stranieri extracomunitari maggiorenni. Nel dettaglio si richiede di modificare l’articolo 9 della legge 91/1992 con cui si innalzò il termine di soggiorno ininterrotto in Italia per la presentazione della domanda di cittadinanza da parte dei maggiorenni. Se vince il sì si dimezzano i tempi, per uno straniero maggiorenne, per richiedere la cittadinanza italiana a cinque anni; se vince il no rimane l’attuale tempistica: uno straniero maggiorenne dunque deve aspettare 10 anni prima di poter chiedere la cittadinanza.