“Squadra e tifosi spero diventino un’entità unica Importante è dare il meglio giorno per giorno”

Intervista a coach Mario Fioretti

Il nuovo head coach della Bertram Derthona, il debuttante nel ruolo Mario Fioretti, è stato ufficializzato ad inizio settimana ed ha firmato con la società bianconera un contratto di due anni fino a giugno 2027. In queste due stagioni avrà il compito di riportare i Leoni ad essere protagonisti in Serie A mettendo a disposizione del gruppo la sua esperienza che vanta ben 22 anni sulla panchina dell’Olimpia Milano dove ha avuto la possibilità di attingere da alcuni mostri sacri del basket europeo. Sette Giorni lo ha incontrato per conoscerlo meglio. 

Buongiorno coach e benvenuto a Tortona. Come è nato il contatto con il Derthona, Vacirca ci ha messo lo zampino? “Beh sicuramente Gianmaria è stata la persona che ha fatto partire il contatto, gli sono grato, poi successivamente ho avuto colloqui con Picchi e con il dottor Gavio che sono stati la fase successiva”. E’ la tua prima esperienza da capoallenatore dopo oltre 20 anni da assistente. Ti sentivi pronto a fare il passo e questa è stata la giusta occasione? “Esatto, è tanto tempo che mi sento pronto ma bisogna trovare l’occasione adatta come dici tu e penso che qui a Tortona sia il posto giusto al momento giusto”. Cosa cambia nel tuo approccio al lavoro, alla squadra, alla gara? Penso anche solo al rapporto con la stampa. “Cambiano le responsabilità, ogni giorno. Un conto è se devi consigliare, un altro se devi decidere ed ogni giorno hai una decisione importante da prendere. Poi si ha un rapporto più stretto con la parte societaria, bisogna condividere scelte importanti ma devo dire che onestamente è una situazione che mi sta già intrigando. Inoltre, come mi hai detto tu, c’è tutta la parte pubblica, sei esposto, non stai più nelle retrovie ma fa parte del gioco”. La tua esperienza in America ad inizio carriera è stata importante? “Direi che è stata fondamentale e decisiva. Per un allenatore giovane come ero io a 25 anni, che partiva dalle basi, potermi confrontare con un gigante di questo sport come Bobby Knight è stato fondamentale ed un privilegio. Non avrei potuto avere fortuna più grande, è stato come rifare l’analisi logica della pallacanestro, la mia carriera è partita da lì”. Hai lavorato con allenatori di altissimo livello come Knight, Caja, Scariolo, Banchi, Repesa, Pianigiani, Messina…. Cosa ti hanno lasciato? “Persone di questo tipo hanno una determinazione fuori dal comune, una capacità enorme di ottenere ciò che vogliono essendo molto lucidi nel valutare ciò che è importante o meno. Spero di replicare anche solo in parte ciò che ho visto fare a questi grandi allenatori”. Ti ispiri a qualcuno di questi? “Tutti sono state fonte di ispirazione, parliamo di figure leggendarie di questo sport; la forza che poi bisogna avere è cercare di restare se stessi. Non posso non essere ispirato e condizionato da ognuno di quelli che hai nominato ma cercherò di prendere le cose e farle mie cercando di mettere sul campo come penso sia giusto”. La tua più grande soddisfazione nel basket? “Le relazioni che ho mantenuto con le persone che ritenevo meritevoli e aver avuto negli anni la fortuna di creare rapporti importanti che dalla dinamica allenatore-giocatore si sono trasformati in vere amicizie”. Il giocatore più forte con cui hai lavorato in carriera? Il gruppo? “Ne ho visti tantissimi ma se devo fare un nome però dico Sasha Djordjevic. Mi vergogno quasi di averlo allenato (ride). Gruppi ne ho visti tanti, alcuni con una chimica fantastica che hanno infatti vinto molto in questi anni”. Quanto tempo dedichi al basket nella tua giornata? “Dedico tutto il tempo necessario a fare funzionare bene le cose. Peso tanto il valore di una giornata e credo che dare il meglio giorno per giorno sia la cosa più importante. Non ti dico il numero di ore ma ti garantisco che sono tante. Il pensiero va spesso al lavoro, anche quando sono con mia moglie ogni tanto mi perdo e lei mi dice «ma a cosa stai pensando??» E in quel momento mi frulla in testa uno schema, una situazione, un discorso da fare ai ragazzi”. Che tipo di basket prediligi? “Un basket che si basi su una grande aggressività in difesa e sulla condivisone della palla in attacco. Una volta che giochi duro insieme ai tuoi compagni ad un buon livello di intelligenza cestistica, sono poi gli strumenti con cui lo metti in atto e le persone che alleni che fanno la differenza”. Quando hai visitato la Cittadella che impressione hai avuto della struttura? “Incredibile. Ammetto che entrando la prima volta ho pensato «beato il fortunato che allena qui». L’allenatore è un insegnante ed anche il luogo in cui si lavora fa la sua parte, importante a livello pratico e mentale”. Cosa ricordi delle sfide da avversario con i bianconeri? “Che erano squadre ben allenate, Marco e Walter (ndr Ramondino e De Raffaele) hanno fatto un gran lavoro. Ho sempre trovato un gruppo competitivo e si è visto subito che intorno vi erano un movimento ed un territorio che sentivano la squadra”. Stai lavorando di concerto con la società per il mercato. Che giocatori ritieni fondamentali per costruire una squadra vincente? “In primis devi avere la lungimiranza di capire che ci devono essere giocatori fondamentali, che sono determinanti nel loro ruolo e poi una serie di giocatori che con questi riescono a darti una versatilità ed una duttilità che ti porta ad essere performante. Ci deve essere un buon mix di talento ed esperienza, atletismo ed intelligenza, tanti fattori da mettere insieme per avere una somma più grande dei singoli”. Cosa serve al Derthona di oggi? “Creare una squadra ben strutturata, relazioni solide e uno standard che porti le persone che hai scelto a performare al meglio. Allenarsi duramente nella maniera corretta, che è poi è la nostra attività principale, non ci sono formule magiche”. Ci apprestiamo a vivere una rivoluzione del roster? “Ci saranno cambiamenti funzionali per costruire una squadra competitiva. Cercheremo di fare le scelte giuste”. Quali sono gli obiettivi per il nuovo corso del Derthona? “Parlare di obiettivi è pericoloso, si può andare troppo bassi o troppo alti… importante sarà creare il clima giusto per lavorare e farlo il più duramente possibile, in maniera intelligente. Poi quello che verrà sarà il risultato del lavoro fatto. E’ sempre stato così”. Vuoi fare un saluto ai tifosi che sono ansiosi di vederti all’opera? “Spero davvero di trovarli numerosi alla Cittadella perchè noi faremo di tutto per stimolarli a spingerci il più possibile. Sentire il calore delle persone è una parte molto importante del gioco e spero che riusciremo ad essere un’entità unica con loro”.

Davide Maruffo

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