Revisionismo o ignoranza storica?

Alla vigilia del 25 aprile, ottantesimo anniversario della Liberazione, scoppia la bufera sul presidente del Piemonte, Alberto Cirio, il quale, alla presentazione della 96ª adunata degli alpini in programma a Biella dal 9 all’11 maggio, parlando dei caduti della Campagna di Russia, ha definito il loro sacrificio un “atto per la nostra libertà”, un’affermazione che contrasta con la realtà storica, in quanto i presupposti programmatici, antisemitismo, antibolscevismo e antislavismo, sono la prova inconfutabile che la Campagna di Russia è stata una guerra di aggressione del regime fascista italiano a fianco dell’alleato nazista tedesco. I nostri soldati, schierati da Mussolini al fianco dell’esercito tedesco, combattevano per annullare la libertà del popolo russo, in nome della teoria razzista e antislavista propugnata da Hitler. Dal canto suo, il Duce, già alla fine del 1940 aveva intrapreso una propria e vera crociata antibolscevica nell’intento di preparare l’opinione pubblica italiana allo scontro con l’Unione Sovietica. Tornando all’attualità, il presidente Cirio, in occasione della successiva cerimonia del Consiglio regionale per gli 80 anni della Liberazione, ha subito rettificato, definendo la contestata frase “una superficialità lessicale che è giusto chiarire”, specificando come “il 25 aprile deve essere la festa di tutti, senza divisioni, e io per primo devo stare attento a non alimentarne”. Nessun revisionismo, dunque, ma superficialità lessicale, che in altri termini possiamo definire “ignoranza storica”.

Gli Alpini ARMIR, Armata italiana in Russia, in marcia

La Campagna di Russia. Il 22 giugno 1941, la Germania, con una forza di invasione di circa 3,5 milioni di uomini, attacca lungo la frontiera occidentale sovietica. Gli invasori tedeschi avanzano su tre direttrici, Leningrado a nord, Mosca al centro e Kiev a Sud. Il Führer, nonostante il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop firmato a Mosca il 23 agosto 1939, aveva deciso di dare corso al suo vecchio progetto di attaccare l’Unione Sovietica. La vittoria sull’URSS gli avrebbe consentito di realizzare due obiettivi fondamentali del suo programma: la conquista dello spazio vitale nell’Europa orientale (il Lebensraum) e la sottomissione degli slavi, considerati Untermenschen, (sotto uomini) appartenenti a una razza inferiore e minaccia per la germanicità. Dietro la guerra lampo programmata da Hitler con il piano “Barbarossa”, si celava un razzismo delineato e articolato in maniera imprecisa, ma del tutto chiaro: l’antislavismo, che considerava gli slavi i futuri schiavi del “Reich Millenario”. Al mattino del 22 giugno 1941, si scatenò la grande offensiva delle forze germaniche: la massa delle divisioni corazzate tedesche irruppe in territorio russo ed affrontò le armate sovietiche seguita dalle divisioni normali. Lo schieramento russo, rotto in più punti dall’irruzione carrista e assalito poi dalle armate tedesche sopravvenienti, ebbe cedimenti paurosi; secondo la strategia messa in atto dai nazisti, non tardarono a formarsi le famose “sacche” nelle quali si trovarono incapsulati interi contingenti sovietici, specialmente in corrispondenza delle direzioni di copertura di Leningrado, Mosca e Kharchow. I prigionieri e la conquista dei territori verso est aumentavano di giorno in giorno, i bollettini di guerra del Reich erano un continuo osanna alla bravura e ai successi delle truppe tedesche. Dopo tre settimane di campagna si attendeva da un momento all’altro il crollo definitivo dell’esercito russo. Hitler comunicava a Mussolini i progressi fatti dalle armate tedesche in questi termini: “Dopo che i preparativi d’attacco erano stati compiuti e le divisioni di fanteria, pronte all’attacco, si erano messe in collegamento con i reparti motorizzati che già erano avanzati, ho dato l’ordine di attaccare la linea Stalin e di sfondarla nei punti stabiliti. Questa operazione è riuscita su tutto il fronte. Io prevedo che per la fine della prossima settimana una gran parte delle armate russe che si trovano davanti alla linea Stalin sarà distrutta… Io ritengo fin da ora sia da escludere che il Comando Russo sia in grado di riuscire a portare in salvo ingenti reparti al di là del Volga o dietro agli Urali”. I tedeschi, giustamente fieri dei risultati ottenuti con la Blitz Krieg sui fronti dell’Europa occidentale, erano certi di liquidare il nuovo avversario, per quanto colossale egli fosse, in poche settimane o per lo meno ad infliggergli una serie di sconfitte di tale entità da fiaccarne senza speranza la volontà combattiva. La guerra, però, non è mai a cronometro e i più disparati imprevisti influiscono sul suo svolgimento: l’orologio che andò a pazza velocità nella campagna di Francia finì con il mettere il rallentatore di fronte alle incalcolabili distanze di un paese che creava il vuoto dinanzi al nemico. In realtà, le divisioni sovietiche, accerchiate, chiuse nelle sacche formatesi dall’irruzione delle forze corazzate germaniche, nonostante le ingenti perdite subite, procurarono ai tedeschi un rapido consumo di materiali e di energie che indebolirono e smorzarono l’iniziale slancio offensivo dell’avanzata hitleriana. L’intervento dell’Italia. Mussolini che già aveva chiesto a Hitler, in margine al Convegno del 2 giugno 1941 al Brennero, di inviare una rappresentanza dell’esercito italiano a combattere con i soldati tedeschi, “per suggellare sul campo la fraternità d’armi e il cameratismo delle nostre rivoluzioni”, il 10 luglio 1941, diede il via alle operazioni di intervento. Il Duce intendeva anche rilanciare la propria immagine di campione della lotta contro il bolscevismo che gli avrebbe permesso di far valere il suo peso al momento di sedere a un tavolo di pace per ridisegnare i nuovi equilibri internazionali. A combattere in Russia sarebbe stato il C.S.I.R., cioè il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, comprendente forze terrestri, navali e aeree per un organico di 62.000 uomini che il 10 luglio 1941 partirono dall’Italia suddivisi in 216 vagoni ferroviari diretti verso est. Mussolini salutò i partenti con la parola d’ordine che lui stesso aveva coniato e che ora era d’obbligo usare come formula di saluto anche nelle lettere inviate a casa: “Vincere, e vinceremo!”. In un clima di euforia per l’imminente crollo dell’URSS, aveva preso il via la spedizione italiana, con la quasi certezza di una campagna veloce e vittoriosa, senza eccessive perdite.

L’Autiere Giovanni Gulminetti di San Sebastiano Curone

Le notizie e le immagini che giungevano dai cinegiornali e che parlavano di travolgente avanzata delle truppe tedesche avevano creato un clima di euforia in tutto il paese: “Bisogna fare presto. Chissà se arriveremo in tempo” erano le affermazioni che correvano tra la gente. Questo clima di euforia era alimentato dalla propaganda di regime che aveva presentato la campagna di Russia come un evento di grande portata storica per il prestigio dell’Italia e dell’esercito italiano. L’Italia fu così gettata con “delittuosa faciloneria nei vortici del piano Barbarossa a fianco della Germania” (G. S. Filatov), ignorando le deficienze militari dell’esercito, con il conseguente disastro militare e le ingenti perdite umane che ne sarebbero derivate. Il comandante del C.S.I.R., Generale Messe, denunciò più volte le gravi carenze della spedizione, quali la mancanza di unità corazzate e completamente motorizzate, la insufficienza dei mezzi per autotrasportare la fanteria, definita solo nominalmente autotrasportabile; in seguito, con l’arrivo precoce dell’inverno, gli automezzi risultarono non idonei per affrontare il gelo della steppa russa. Così anche il vestiario era un altro punto debole del C.S.I.R., basti pensare che l’equipaggiamento invernale di base era quello risalente alla guerra 1915-18, a malapena indicato per gli inverni italiani, non certo per quelli russi. Nel gennaio del 1942, così scriveva il Generale Messe al Duce, elogiando il valore e lo spirito di sacrificio dei suoi soldati e allo stesso tempo sconsigliando l’invio di altri reparti a fianco dello C.S.I.R.. “Io Vi ricordo che si deve a un vero miracolo se il C.S.I.R. non è stato schiacciato e stritolato in quella terribile guerra di giganti. Più di una volta, durante lo scorso inverno, siamo stati sul punto di essere travolti irreparabilmente nel disastro. L’aver mantenuto il nostro posto con dignità, malgrado tutto, ci è costato sacrifici enormi dei quali forse in Italia non tutti si sono resi completamente conto”. Ma Hitler, che aveva deciso di avanzare verso il Caucaso fino alla conquista dell’Egitto e al ricongiungimento al fronte italo-tedesco in Africa, se all’inizio dell’Operazione Barbarossa considerava l’aiuto militare dell’alleato “inconsistente”, ora chiede a Mussolini di incrementare lo sforzo bellico “con l’invio di altre ottime divisioni perché la lotta sarà portata in un settore destinato a far parte dello spazio vitale italiano.” Mussolini non esita a cogliere l’invito e risponde al Führer con queste parole: “Per questo sforzo comune, sto provvedendo, in relazione alla Vostra richiesta, a predisporre un Corpo d’Armata alpino composto dalle nostre migliori truppe e un Corpo di fanteria da montagna che, insieme con il C.S.I.R. pienamente ricostituito di uomini e mezzi, potranno rappresentare un vigoroso apporto delle forze italiane al proseguimento della Vostra magnifica avanzata al Caucaso e oltre…” Il generale Messe che aveva incontrato enormi difficoltà per portare avanti, senza sufficienti automezzi, i sessantamila uomini del C.S.I.R., poteva facilmente immaginare quello che sarebbe successo con una massa di oltre duecentomila uomini. Ma i suoi sforzi e le sue profetiche previsioni non riuscirono a far modificare le scelte ormai decise. La risposta del Duce, certo della vittoria finale, fu perentoria: “Caro Messe, al tavolo della pace peseranno assai più i duecentomila dell’Armata che i sessantamila del C.S.I.R. Io debbo essere al fianco del Führer in Russia come il Führer fu al mio fianco in Grecia e come lo è tuttora in Africa. Il destino dell’Italia è intimamente legato a quello della Germania.” Con queste premesse, per evitare che vi fosse un eccessivo sbilanciamento nel numero delle truppe a favore dei tedeschi e per rafforzare la presenza italiana nella guerra di conquista, Mussolini decise di inviare in Russia un intero Corpo d’Armata. Il 9 luglio 1942 il generale Italo Gariboldi assumeva il comando della VIII Armata e il C.S.I.R. entrava a far parte dell’A.R.M.I.R. Iniziava la nuova fase della Campagna di Russia, quella che porterà alla drammatica ritirata del gennaio 1943. Invano i nostri soldati avevano atteso la fine vittoriosa di una guerra che si doveva concludere, nelle parole del Duce, “al massimo entro tre mesi.” Circa 100.000 militari non fecero più ritorno dal fronte russo.

(Archivio Milani)

Maria Grazia Milani